Impossibile dare giudizi, se non totalmente parziali, su questo inizio di Serie A. L'Atalanta, proprio per come è sviluppato il suo impianto tattico, riesce a trasformarsi in schiacciasassi quando entra nel periodo di zenit della propria forma atletica e, di conseguenza, riesce a imporre ritmi difficilmente sostenibili per gli avversari, perlomeno in Italia. Dunque, il fatto che quest'anno sia partita così a rilento (quattro punti in tre partite, che, senza il gol di Piccoli negli ultimi sgoccioli della prima giornata, sarebbero stati due) non è dimostrazione di nulla: anche la scorsa stagione, nonostante l'
en plein delle prime tre partite di Campionato, s'imbatté, subito dopo, in una parentesi negativa, collezionando soli cinque punti nelle successive sei. Le squadre di Sarri, inoltre, è normale che paghino un periodo di apprendistato iniziale, quando l'allenatore toscano s'insedia in panchina, data la "rivoluzione Copernichiana" che spesso si è trovato costretto a mettere in atto. Con la Juventus questo non accadde, in quanto allo stesso Sarri non fu consentita la possibilità di alcun stravolgimento radicale della metodologia lavorativa, però già il Napoli, nella stagione 2015/16, passò una fase iniziale di rodaggio, prima di automatizzare tutte le situazioni di gioco e trasformarsi, da lì in poi, in un rullo compressore. Infine, non è un'anomalia statistica nemmeno la partenza "ad handicap" delle squadre di Allegri, anche se per ragioni diametralmente opposte a quelle di Sarri: in questo caso, l'ex-allenatore di Cagliari e Milan, maestro nel plasmare i suoi principi di gioco in direzione "
bottom up", si prende sempre un periodo di tempo inziale per sperimentare e cercare di capire quali ruoli e quali compiti tattici possano far rendere al massimo gli elementi effettivi delle sue rose (basta citare l'invenzione di Mandžukić dirottato sulla fascia e trasformato in esterno offensivo). Nota conclusiva sull'Inter: nonostante le partenze eccellenti di quest'estate, la rosa nerazzurra rimane comunque di un livello altissimo e il fatto che sia stato scelto, per il dopo Conte, un allenatore che non avesse bisogno di attuare mutazioni profonde sul modulo di gioco (pur con le differenze evidenti tra i due, per quanto riguarda il SISTEMA di gioco, che è una cosa differente) garantisce quel minimo di continuità che ha aiutato a far sì che il passaggio di consegne fosse più dolce e meno traumatico. Del resto, stiamo parlando di una squadra che ha pur sempre sette punti in classifica e che ieri ha prodotto almeno altre tre nitide occasioni da gol, dopo il secondo pareggio blucerchiato. Principalmente, ieri l'Inter ha sofferto venti minuti (quelli iniziali del secondo tempo) di Bereszyński, che sembrava Cafu nel 2001, e di un Adrien Silva in versione Kanté.
Conte, che non è stupido, se n'è andato forse per questo.
C'è da dire che Conte, in passato, ha lasciato la Juventus nel 2014, subito prima che i bianconeri raggiungessero due finali di Champions in tre anni, oltre alla solita valanga di trofei nazionali, e il Chelsea nell'estate immediatamente antecedente alla stagione in cui i "
Blues" sono tornati a vincere in Europa. Tutto questo per dire che il tempismo degli addii di Conte non sembra essere sempre così ben calibrato, dall'ex-allenatore anche della Nazionale.